Un viaggio nella storia tra binocoli e cannocchiali
Articolo a cura di Francesco Pepe – tratto dal Giornale di Vicenza
Quel raffinato ventaglio mignon in tartaruga traforata di metà Ottocento dai colori soffusi, che sul pomello nasconde una lente per vedere meglio i volti dei cavalieri e delle damigelle nel salone delle feste alla corte di Vienna senza far capire di avere poche diottrie, apparteneva a una nobildonna dell’Austria felix.
Forse la stessa malinconica, tormentata e inquieta principessa Sissi sempre in fuga come un gabbiano infelice dalle rigide etichette imperiali.
E quel lungo, severo, maestoso cannocchiale, segno di comando, usato nelle navi da combattimento della marineria britannica, forse assistette, a bordo della Royal Navy, alla spettacolare vittoria del visconte Horatio Nelson sulla flotta franco-spagnola al largo di Capo Trafalgar. C’è il cannocchiale a creamgliera in uso nella flotta francese, e quello da campo su treppiedi per scrutare le mosse delle truppe nemiche. O, in vena meno bellicosa e più mondana, il cannocchiale da gentleman che i lord londinesi portavano con sé ad Ascot per guardare le corse dei cavalli.
In versione snob anche il binocolo da teatro in tartaruga, oro ed avorio di fine Settecento su cui il celebre costruttore parigino Gonochon ha incastrato migliaia di sterline d’oro.
E, passando alla scienza e alla vita pratica, il microscopio monoculare tipo Culpeper del 1750 con il tubo ottico sostenuto da tre bracci sagomati, i tre optometri dei primi anni dell’Ottocento per la misurazione della vista sempre provenienti dalla città Lumière che rappresentano i fondamenti delle tecnologie di oggi, e le lenti ingrandenti in tre materiali, argento cesellato, corno ed osso.
La Collezione
Così e anche di più nella collezione storica tutta da ammirare nei dettagli, una fra le prime cinque al mondo come rarità, pregio e completezza di strumenti e reperti, che l’ottico vicentino Fabrizio Padrin ha aperto nel suo nuovo e attrezzato super-atelier che si trova in via Lanza in città, a disposizione del pubblico, di esperti, studiosi, scolaresche, e di chiunque ami il segreto delle cose prodotte dal genio nella ricerca, nelle invenzioni, nel progresso in questo caso di oggetti di alta epoca per la visione e l’osservazione, o sia rapito dal profumo di vintage
Oltre 100 pezzi
Nelle vetrine e sugli scaffali di questo straordinario mini-museo, oltre cento pezzi originali perfettamente conservati, molti firmati dai loro costruttori o dai signori che li hanno posseduti, appartenuti a regnanti, nobili, ammiragli, dame e damigelle dei più prestigiosi casati europei, ma anche una cinquantina di libri di ottica, navigazione, astronomia a partire da metà Cinquecento. C’è “Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” di Galileo a sostegno della teoria eliocentrica copernicana, e l'”Arte del navigare e guerreggiare per mare” del marchese Antigono Frangipane di Assisi. Né mancano i manuali dei precursori dell’oculistica moderna sulle malattie degli occhi e l’utilizzo degli occhiali.
E c’è pure, in questo scrigno delle meraviglie, un mappamondo, o meglio, un introvabile globo terracqueo italiano “con le ultime scoperte e modificazioni politiche” datato 1889 e compilato dall’ingegnere Pini, una sfera rivestita di carta stampata e acquerellata a mano su base in legno tornito.
Anni di lavoro
Insomma, una selezione accurata che corre sul filo dei secoli e del volgere dell’avventura umana verso colonne d’Ercole da scoprire e superare. E un lavoro di raccolta frutto di quindici anni di lavoro in cui la passione dell’ottico si è unita a quell’attrazione fatale per l’antichità che è un retaggio di famiglia. Ottorino, il padre di Fabrizio, era restauratore d’arte, e questa sensibilità per strappare la bellezza fuggente al tempo che sbiadisce in una morsa ciò che è stato, l’ha acquisita da lui e l’ha proiettata in questa dimensione “altra” della sua professione fatta di tecnica, eleganza, sviluppo.
C’è da rimanere incantati fra cannocchiali in avorio da viaggio e da passeggio, binocoli da teatro in legno di bosso impreziositi da pagliuzze d’oro, piccoli o allungati a seconda che lo spettatore si sedesse nelle prime file o nelle poltrone più arretrate. Unico nel suo genere un binocolo in lacche cinesi. Come quello in ottone e avorio per la caccia alla volpe che si teneva con una mano mentre l’altra muoveva le redini del cavallo.
La Curiosità: una vetrina dedicata alla moda
Una vetrina della mostra di Fabrizio Padrin è dedicata a una moda, e a un vezzo da sangue blu, che fu pure di Maria Luisa, la figlia dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, la seconda moglie di Napoleone. Ecco i ciondoli in oro, madreperla, smeraldi e zaffiri che si portavano come spille ma servivano a camuffare la miopia e a vedere da vicino o da lontano, guardare il commensale oppure vergare una lettera senza far notare il proprio, per i tempi inconfessabile e sminuente, difetto visivo.
E per mascherare una debole vista, come faceva la principessa diventata imperatrice dei francesi, le signore di elevato rango di allora usavano pure false boccette di profumo.