Una serata in onore di Galileo, la storia dell’occhiale e del cannocchiale

Articolo di Chiara Tomasella

Esposta in Pieve per la prima volta la straordinaria collezione di strumenti ottici di Fabrizio Padrin

L’antica chiesa parrocchiale di Nanto è ormai diventata un saldo punto di riferimento per la vita culturale del paese: a due settimane dall’evento di presentazione del libro “Come un temporale” del professor Michele Santuliana, il 10 novembre si è riscontrato un nuovo successo di pubblico in occasione della prima proiezione del cortometraggio “Storia dell’occhiale e del cannocchiale antico” (riportato di seguito), girato fra Treviso e Venezia e disponibile per la visione anche online, sul canale YouTube di Ottica Padrin. 

Il commento del breve documentario è stato però soltanto una piccola parte della soirée culturale patrocinata sia dal Comune di Nanto che da Longare, serata ulteriormente animata grazie alla musica di Gaia Varo e Luca Strozzo, alla presenza di due elegantissime comparse vestite con costumi d’epoca (creazione della stilista Gianna Sasso, per l’occasione anche modella), all’intervento di introduzione storica dell’architetto Bernardo Dominidiato e grazie, infine, al sempre prezioso contributo della Pro loco. L’evento ha permesso ai presenti di viaggiare nel tempo, dagli albori della storia degli occhiali fino alla contemporaneità, abbracciando un vasto orizzonte temporale e tratteggiandone i puntisalienti con l’aiuto di curiosità e aneddoti.

L’invenzione degli occhiali è attribuita ad Alessandro della Spina, frate domenicano vissuto nel XIII secolo; risale però al secolo successivo il primo affresco raffigurante un personaggio occhialuto, tale Ugo di Provenza, ritratto nel 1352 dall’artista Tommaso da Modena all’interno del Convento di San Nicolò di Treviso.

Tommaso da Modena. Ritratti di domenicani di Ugo di Provenza (1352)

La Repubblica di Venezia ebbe un ruolo chiave nella realizzazione delle lenti per l’occhialeria, fabbricate a Murano dagli artigiani spinti a trasferirvisi per decreto: questi ultimi sono noti ai posteri anche per l’estrema segretezza con cui erano “convinti” a svolgere il loro importantissimo mestiere, dal momento che, qualora si fossero arrischiati a portare altrove la loro arte, avrebbero potuto pagare con la vita l’imprudente trasgressione. L’occhiale diviene dunque un oggetto di pregio, d’elite, dalla lente alla montatura, quest’ultima spesso realizzata in metalli preziosi o materiali pregiati se destinata ai ceti sociali più abbienti: un vezzo, quasi, da sfoggiare come un gioiello per il sesso maschile.

Per la donna, fino agli anni ’60 del Novecento ammettere di avere un difetto alla vista è stato invece motivo di vergogna e stigma sociale: nella collezione Padrin, esposta in via eccezionale in Pieve ma tutt’ora visitabile all’interno della sede vicentina di via Lanza, risaltano in modo particolare alcuni oggetti magnifici per la perizia con cui sono realizzati e ancor più degni di nota per aver dato la possibilità di vedere nitidamente alle gentildame loro proprietarie. 

Si tratta di un ventaglio in tartaruga decorato a motivi floreali in cui è innestato un piccolo cannocchiale, cui si accostano tre ciondoli in ottone, oro e pietre preziose, sempre corredati da piccoli cannocchiali; da ultimo, ecco un’ampollina di profumo con al centro un cannocchiale in miniatura, pronta a servire la propria damigella sia con la dolce fragranza di rosa che con l’ingegnoso sistema ottico celato al suo interno.

Ventaglio

Proprio il tema del cannocchiale rievoca la familiare sagoma di Galileo, presentato da Fabrizio Padrin nella più inusuale veste di turista dei Berici: rimandiamo però alla lettura de “Il vino di Galileo e lo scherzo di Costozza” di Antonio Di Lorenzo il racconto dell’episodio ne varrà la pena. 

Per vedere dal vivo la collezione Padrin, per approfondire le numerose storie legate al mondo dell’occhialeria e per apprezzarne l’attualità, invece, una visita presso la sede principale di Ottica Padrin è d’obbligo.

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